TECNICA : Il ritratto

Prima cosa, vediamo alcune regole, già di largo utilizzo e che vengono riproposte nei più autorevoli blog/siti online

1. L’obiettivo da ritratto
La regola dice che un buon ritratto va fatto con un 85mm, oppure un 105mm (ottica fissa oppure uno zoom con un’escursione che comprenda le lunghezze focali possibilmente utilizzato a tutta apertura, o quasi.

Questo non vuol dire che non si possa scattare un ritratto con un gradangolo o con un tele più lungo. Prima si digerisce la regola, poi si può sperimentare con quel che si vuole.

2. Il numero di scatti
La regola dice che per ogni ritratto bisognerebbe scattare almeno 40 scatti, più o meno quelli concessi da un “vecchio” rullo 35 mm da 36 pose. Cogliere l’espressione migliore è anche un fatto statistico: occhi chiusi, smorfie, capelli fuori posto ecc. si combattono premendo più volte il pulsante di scatto.

3. Luce in esterni
La regola dice, che per l’esterno, non c’e nessuna regola (National geographic naturalmente consiglia la luce del mattino o della sera, quando i raggi del sole sono obliqui).
Per illuminare il soggetto, si puo contare su:
– sole di lato, con o senza pannello riflettente (si acquista nei negozi specializzati, ma può andar bene anche un cartone bianco oppure un telo o un pezzo di polistirolo)
– sole sopra la testa, con pannello riflettene (tecnica difficile per un principiante)
– controluce, con pannello riflettente
– in ombra, con o senza pannello riflettente
Il pannello serve a ridurre il salto netto tra le alte luci e le ombre (contrasto). Prima di scattare bisogna provare l’efficacia del pannello muovendolo e avvicinandolo e allontanandolo dal soggetto per regolrne l’azione.
Insomma, grande libertà. Molto dipende dalla fantasia del fotografo. Val la pena di provare le diverse opzioni per perfezionare poi quella a noi più congeniale.

4. Luci in studio
La regola dice che per le foto in studio, a parte le tre o quattro luci canoniche ( ombrello leggermente sopra il soggetto con fondo più o meno illuminato, luce finestra messa di lato, bank con diffusore di fronte al soggetto con luce diretta posta dietro al soggetto solo per i capelli ecc.) lo studio deve essere una palestra di sperimentazione, per cui spazio alla fantasia anche se non si ha troppo tempo a disposizione.

5. Inquadratura

La regola dice che l’inquadratura è una cosa che si deve imparare, perche rientra nella categoria del buon gusto, per cui: primo, riempire sempre il fotogramma specialmente sopra la testa, così non si sbaglia mai; secondo, costruire una composizione bilanciata.
Il segreto? Imparare a guardare per davvero dentro al mirino (o al display LCD se usiamo una compatta che ha solo quello per inquadrare) e a godersi la foto prima ancora di scattarla (naturalmente se non stiamo lavorando con le pallottole che fischiano sopra la testa).

6. Espressione
La regola dice che il soggetto dovrebbe guardare in macchina per tirargli fuori un minimo di espressività, che fa’ la differenza!
Una volta che si è padroni di questa regola si può cominciare a sperimentare con altre espressioni (buffa, pensierosa, occhi chiusi, sguardo di lato o a terra).

7. Velocità
La regola dice che una volta inquadrato e messo a fuoco il soggetto, i 40 scatti a disposizione vanno fatti abbastanza a ridosso uno dell’altro.
Sono assolutamente da evitare quegli interminabili secondi di pausa forzata, di silenzio e di imbarazzo da parte nostra e del soggetto dovuti all’indecisione del fotografo, alla scarsa dimestichezza con la macchina fotograficae con la pratica del ritratto.
Se qualcosa non va, se abbiamo bisogno di riflettere un secondo o di risolvere un problema tecnico prima di ricominciare a scattare, è importante che continuiamo a dialogare con il nostro soggetto, togliendolo dall’imbarazzo. Poi sotto, decisi, con la seconda serie di foto.
Quando si comincia a fare sul serio con il ritratto fotografico è buona norma cercare i nostri soggetti tra i familiari, gli amici, i vicini di casa, i negozianti del quartiere. Insomma, soggetti capaci di sopportare qualche nostro tentennamente senza sbattere la porta e scappar via.

8. Fidarsi della tecnologia
La regola e il buon senso dicono che oggi, con tutti i progressi fatti dai costruttori di macchine fotografiche, non dovremmo più incaponirci a scattare regolando tutto in manuale. Abbiamo l’automatismo, priorità di tempi,
priorità di diaframmi, per il ritratto questo è più che sufficiente.

9. Emozione
La regola dice, che una volta ultimato il lavoro o hobby, il risultato deve dare sempre un’emozione, per chi l’ha eseguito e per chi lo guarda per la prima volta.

10. Modestia
E un’altra regola, l’ultima, dice, che nella maggior parte dei casi, tendiamo a sopravvalutare le nostre fotografie. Se non ci accontentiamo, se vogliamo continuare a migliorare, qual’è il trucco? Basta tagliare un bel 50% dal nostro entusiasmo per essere più vicini alla realtà.
Questa è una regola assoluta.

(Fonte internet DPHOTO)

 
Aspetti psicologici nel ritratto
La fotogenia benché se ne dica è un dono naturale, poco se non nulla è acquisibile con l’esperienza, e non ha nulla a che vedere con la bellezza.
Vi sono persone esteticamente piacevoli che ritratte appaiono sgraziate o inespressive, altre magari meno piacevoli a vedersi o magari fuori dai canoni comuni della bellezza rendono magnificamente, è fotogenico quel volto che immortalato in una espressione statica tende a mantenere la stessapresenza” e carica emotiva che rappresenta la sua figura dal vivo.
Generalizzando i visi più fotogenici sono quelli non eccessivamente mobili cioè, coloro che trasmettono di più le loro sensazioni attraverso lo sguardo che non attraverso la loro mimica facciale.
La fotogenia di una persona è solo in una piccola parte prevedibile, spesso e a volte troppo, occorrerà guardare i primi scatti fatti per accorgersi delle potenzialità della persona ritratta ed eventualmente porre i dovuti rimedi nel caso che gli scatti risultino “freddi”.
Personalmente trovo basilare lavorando con la figura umana, creare un ottimo approccio emotivo, entrare in confidenza ed in sintonia con il nostro soggetto ci permetterà di abbattere quel muro di diffidenza e di imbarazzo che c’è ogni qualvolta un non professionista intende farsi ritrarre.
Mettere a proprio agio i nostri modelli è il primo punto di lavoro su cui dobbiamo concentrarci, riusciti in questa impresa metà del lavoro è già fatto.
Ora non è che noi fotografi professionisti o non, dobbiamo prendere una laurea in psicologia per ritrarre una persona, ma di certo la nostra sensibilità e disponibilità nell’interagire con il nostro modello/a sposterà l’ago della bilancia da una immagine tipo “fototessera” ad un immagine dove l’animo del soggetto traspare in tutta la sua pienezza.
I nostri potenziali soggetti adulti, e dico adulti perché l’argomento bambini lo tratterrò più in seguito, si dividono sostanzialmente in due categorie: quelli sicuri di se coscienti delle loro potenzialità, e quelli insicuri convinti di venire sempre male nelle foto.
Le persone sicure di se possono dar l’idea di essere soggetti più facilmente fotografabili, ma spesso non è così, convinti della loro immagine piacevole spesso esordiscono con catalogo di pose, infinitamente provate, che alla fine gli fanno perdere la loro spontaneità, regalandoci così un bell’esempio di maschere stereotipate anziché di se stessi.
Anche qui un buon dialogo preliminare ed il sentirsi a proprio agio li aiuterà togliersi la maschera e far trasparire ciò che sono realmente.
I soggetti timidi spesso invece sono dei falsi modesti, solitamente si vedono molto meglio di come si vedono in foto ed il loro orgoglio li blocca reputando che l’immagine eseguita sia inferiore all’immagine che hanno di loro stessi.
È indispensabile con questi soggetti rassicurarli che la loro scarsa fotogenia non lederà il risultato finale, anzi.
Con essi sarà utile mostrarle via via il lavoro eseguito (benedetto sia il digitale) in modo da renderli sempre più naturali e disponibili alle nostre indicazioni.
Una tecnica che spesso usavo quando scattavo ancora in analogico, era quella di fare almeno una trentina di scatti senza pellicola, in modo da abituare il soggetto all’ambiente a lui inconsueto che è la sala posa, dopodiché spiegando con molta diplomazia e con toni scherzosi l’avvenuto si iniziava il lavoro vero.
Molto importante specialmente con le donne, l’evitare di toccare il soggetto per fargli assumere delle pose, molto meglio spiegargli le pose che vogliamo che essa assuma rendendola così partecipe del risultato finale evitando inoltre il conseguente “congelamento” causato dal nostro contatto fisico.
Ritrarre invece i “cuccioli” termine che io uso per i bambini la cosa è un po’ più complicata , mentre l’obiettivo intimidisce gli adulti per i bambini l’incuriosisce, risultato anche qui è la mancanza di spontaneità, l’ideale per fare ottime foto e coglierli al volo, cerchiamo soluzioni che lascino il minor margine d’errore possibile – durata della posa e diaframma – nel caso di un servizio in studio usare la luce continua e non quella flash, la continua emissione di lampi se non li intimorisce li blocca comunque in maniera irreversibile.
Può servire specie se siamo estranei alla famiglia prendere confidenza e familiarizzare con esso, cioè creare sul nostro set un ambiente famigliare, no è detto che siamo costretti a fare un po’ i pagliacci in modo da ingraziarci le sue attenzioni.
Più riusciamo a far si che il tutto per il bambino diventi un gioco più il nostro risultato sarà eccellente.

(Fonte internet Nikonschool)